Ciò avvalora la tesi di Susan Nalezyty, secondo cui Girolama era importante per l’Accademia poiché forniva incisioni utilizzate come modelli dagli studenti, che gli accademici speravano di formare nello stile dei migliori maestri.[5] Girolama, tuttavia, non era certo la più in vista tra gli incisori citati da Baglione – anzi, egli non la cita affatto. Qual era allora il suo apporto specifico nella galleria degli accademici che, al pari delle Vite di Baglione, tracciava intenzionalmente una storia dello sviluppo delle arti a Roma? Esaminando la presenza di Girolama Parasole tra gli accademici alla luce di ciò che sappiamo della sua formazione, della sua attività professionale e delle sue relazioni, si pone a confronto un’idea inevitabilmente teorica speculativa circa le sue ambizioni e opportunità in un contesto sociale e professionale in rapida evoluzione, con l’ipotetico vantaggio che l’Accademia poteva trarre dall’inserire nella propria storia quel particolare ritratto di una donna che intagliava le matrici di legno con immagini create da altri e destinate alla stampa.
L’incisione e l’evoluzione delle arti a Roma: il caso “interessato” di Girolama Parasole
Evelyn Lincoln
“La reputazione postuma dell’artista necessita di riguardo e attenzione […] chi ne trasmette in modo sensibile l’eredità è come un giardiniere che conosce l’ecologia dell’arte, cura ciò che resta dell’opera, bilancia l’humus di immagini, narrazione e materiali che genera possibilità di nuove letture […]. Il nostro desiderio non è disinteressato” [1] —Caroline Jones
L’interesse odierno per la figura di Girolama Cagnaccia Parasole (1567 circa-1622) si deve al fatto che è una delle poche donne della prima età moderna ad aver lasciato testimonianze storiche che ci consentono di ricostruire parzialmente il suo percorso professionale di incisora e – a seconda della definizione che diamo al termine – di artista. Le rare opere firmate di cui fu autrice, un suo ritratto anonimo presso l’Accademia di San Luca e un esiguo numero di documenti relativi alla sua vita quotidiana – che perlopiù non la riguardano direttamente – possono generare prospettive diverse e per certi versi contrastanti. Gli interrogativi che ci poniamo su di lei in quanto figura storica dipendono dalla narrazione che intendiamo costruire.
In un articolo su ciò che definisce la “funzione-artista”, Caroline Jones descrive la responsabilità dello storico nel delineare una figura autoriale coerente sulla base di opere d’arte note e alla luce degli “effetti causati da iscrizioni, testi e discorsi” che restano dopo la scomparsa di un artista, osservando come l’analisi storica possa far emergere personalità diverse.[2] L’effigie di un’artigiana dall’aspetto particolarmente – e forse volutamente – anonimo tra i ritratti idealizzati e perfettamente studiati di accademici in gorgiera solleva la questione centrale dell’identità che gli storici vogliono attribuirle. I primi storici in ordine cronologico sono gli stessi accademici che inserirono il ritratto negli annali della loro istituzione; il secondo gruppo è invece formato da chi ha utilizzato quell’atto ostentatamente inclusivo e dirompente, insieme alle opere di Girolama Parasole giunte fino a noi, per comprendere il processo di formazione delle arti, lo sviluppo dell’incisione come forma artistica e l’opportunità di inserimento nel mondo dell’arte che essa ha offerto alle donne. Come vedremo, queste due narrazioni potrebbero essere in contrasto tra di loro.
Dagli inizi del Cinquecento, le responsabilità autoriali nella creazione di immagini stampate venivano indicate in modo distinto. Chi ideava l’immagine era identificato sulle stampe con la parola invenit, chi la copiava su una matrice con disegnavit, e chi la incideva su rame o su legno con sculpsit o incidit. L’attribuzione della competenza nel disegno, determinante nel definire ciò che fosse un artista, venne distribuita tra diverse categorie privilegiate da Giorgio Vasari e, di conseguenza, riconosciute anche dall’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze e dall’Accademia di San Luca a Roma. Giovanni Baglione si adoperò per riconoscere agli incisori, che non erano necessariamente inventori, lo status di professionisti del disegno. In conclusione delle Vite de’ pittori, scultori et architetti (1642), il più volte principe dell’Accademia di San Luca aggiunse una breve sezione sugli “intagliatori” che consentiva a chi incideva invenzioni altrui di essere compreso nella concezione accademica di artista[3].
La sua scelta di inserire la famiglia Parasole nelle Vite appare singolare, dal momento che si dedicavano principalmente all’illustrazione libraria e non realizzavano stampe a foglio singolo, tranne che per due notevoli eccezioni per mano di Girolama. Baglione comincia col difendere l’inclusione degli incisori tra gli artisti:
"Sogliono, ò Signor mio, esser’anche intendenti di disegno i buoni Intagliatori d'acqua forte, o di bulino; e però tra Dipintori possono havere il luogo; poiche con le loro carte fanno perpetue l’opere de’ piu famosi maestri: e benche le fatiche loro al cospetto del publico non sempre sieno stabilie, e si mirino, pure non si può negare, che li lor fogli non nobilitino, & arrichiscano le Città del Mondo. Anzi alcuni Artefici di Pittura, in fin essi hanno d’acqua forte, o di bulino le proprie opere intagliare, e come erano Pittori, così anche Intagliatori furono; & in loro queste Virtù hebbero commune il vanto, & indistinta la lode"[4].
Fig. 1. Anonimo, Ritratto di Girolama Parasole, ante 1633, olio su tela, Accademia di San Luca, Roma
Il ritratto di Girolama ci mostra una novella vedova dallo sguardo limpido, una “donna onesta” modestamente velata, una lavoratrice vestita in maniera semplice e disadorna, senza merletti né gioielli, con l’espressione indifesa di chi non è avvezza a posare e a essere osservata o forse prova sgomento di fronte alla sua nuova condizione (fig. 1). Il pittore sembra conoscere bene i tratti del suo volto e le circostanze della sua vita. La scarsa pretenziosità la fa apparire vulnerabile e ignara di essere studiata. Fervente oratoriana e membro attivo della congregazione sin dalla sua fondazione, Girolama lavorò per gran parte della sua vita insieme al marito Leonardo Parasole († 1612) e ad altri membri della sua famiglia, incidendo immagini su matrici in legno di bosso destinate a illustrare un’impressionante varietà di volumi pubblicati a Roma a cavallo del Seicento.[6] A prescindere dal soggetto o dal genere, le illustrazioni editoriali erano una risorsa per un mercato dell’immagine diversificato e in espansione, che contava tra i suoi fruitori anche gli ambiziosi studenti dell’Accademia. La famiglia Parasole forniva illustrazioni xilografiche per prestigiose pubblicazioni sulle piante del Nuovo Mondo e libri liturgici canonici che dopo il Concilio di Trento dovevano essere ripubblicati, agiografie e descrizioni di martiri, rappresentazioni di iconografie arcane e immagini per testi in arabo commissionati dalla Tipografia Medicea Orientale. Ritratti di ecclesiastici e governanti e vedute della città fornivano alla famiglia ulteriori opportunità di guadagno. Probabilmente Girolama collaborò con il marito e i cognati Isabella e Rosato Parasole alla realizzazione di modellari di merletti, le opere d’invenzione più originali di questa seconda attività dell’operosa bottega familiare.
Mentre Girolama Parasole è citata e presente in alcuni atti giuridici sopravvissuti riguardanti questioni familiari e immobili di sua proprietà a Roma, la sua attività professionale e persino il suo nome risultano confusi. Nei documenti legali redatti in latino è indicata come Hieronima Cagnaccia Parasole o con varianti di tale nome. Nei rari casi in cui firma le xilografie dei libri illustrati utilizza il monogramma “G.AP” seguito dal disegno di un piccolo stilo, en pendant con il monogramma del marito, “LP” con stilo. Le due grandi stampe a foglio singolo non datate che le sono attribuite sono firmate con il suo nome latino, Hieronima Parasole. Il cartiglio posto in basso nel ritratto dell’Accademia, forse aggiunto in un secondo momento, riporta invece il suo nome in italiano insieme alla data e alla professione: “Girolama Parasoli, Sc. 1612”[7]: siamo di fronte all’effigie di una scultrice del legno identificata per la prima volta con il proprio nome, com’era consentito alle vedove.
Tentare di definire il talento, le competenze e persino l’opera di Girolama ci pone su un terreno scivoloso. Lei stessa non si attribuì mai l’ideazione delle stampe che noi sappiamo aveva inciso. In realtà, si muoveva in uno spazio a metà tra il mondo dell’invenzione artistica, sempre più rappresentato all’Accademia di San Luca, e l’attività di produzione e diffusione che si svolgeva nelle tipografie e nelle librerie al centro di Roma. Non sono stati ancora scoperti contratti o accordi di collaborazione che possano aiutarci a capire lo svolgimento della sua vita professionale, ma esistono documenti riguardanti quella di suo marito e suo cognato.
Le donne che svolgevano attività commerciali a Roma in questo periodo necessitavano di un mundualdus per poter stipulare un accordo. Questo parente maschio o amico di famiglia negoziava i termini contrattuali e “forniva uno strumento per affrontare quei momenti potenzialmente fuori norma nella struttura del predominio maschile in cui le donne accedevano alla sfera pubblica”[8]. Ecco perché, quando si cerca di ricostruire la vita professionale di una donna romana in quest’epoca, è indispensabile interpretare le fonti alla luce delle relazioni sociali e familiari per poter comprendere ciò che era socialmente e legalmente plausibile. I documenti sopravvissuti utili a tale scopo includono un atto notarile risalente agli esordi della carriera di Girolama come intagliatrice di matrici in legno per illustrare libri e la voce inserita da Baglione in un caposaldo della letteratura artistica pubblicato a due decenni di distanza dalla sua morte. Poiché essi delimitano i confini di una discussione sulla carriera e la reputazione di Girolama Parasole, si potrebbe partire da una loro lettura.
L’atto che segna l’inizio della carriera di Girolama e Leonardo Parasole come illustratori editoriali svincola quest’ultimo dall’associazione con la bottega di famiglia che praticava “l’arte di zoccholi”[9]. Fu stipulato nel 1585, alla morte del padre, che era arrivato a Roma da Sant’Angelo di Visso, vicino Norcia, intorno al 1572 e aveva aperto una bottega di zoccoli in legno nel quartiere delle tipografie[10]. Il documento mostra che quattro figli Parasole lavoravano insieme e ognuno era specializzato nelle mansioni necessarie alla gestione di una bottega che produceva non solo calzature in legno ma anche piccoli tamburi, tamburelli e cofanetti in legno. Mentre due fratelli intagliavano – e avrebbero continuato a farlo – questi oggetti, che erano il punto di forza della bottega, Rosato li dipingeva e Leonardo incideva matrici lignee per stampare le immagini usate per decorarli. Come si legge nell’accordo, Leonardo aveva già iniziato a lavorare in proprio incidendo immagini botaniche disegnate da un artista ignoto per un erbario commissionato dal medico papale Castore Durante[11]. Nel documento la moglie di Leonardo è menzionata ma non nominata, il che attesta che la sua dote era stata investita nella gestione della bottega, com’era già avvenuto con quella della defunta moglie di un altro fratello, e che la coppia era autorizzata a scorporare questi fondi dalla società familiare insieme alla carta, alle matrici e alle stampe relative all’erbario. Fin dall’inizio della loro permanenza a Roma, il modello sociale ed economico dei Parasole fu la bottega familiare, in cui uomini e donne di un nucleo allargato lavoravano insieme e mettevano in comune le risorse finanziarie. È essenziale inquadrare la formazione di Girolama Parasole come sculptor all’interno di questa struttura, alla quale contribuiva con le sue competenze di intagliatrice di matrici lignee a servizio di un’impresa familiare diversificata.
Il secondo documento chiave, ancorché contorto e pieno di inesattezze, fa luce sull’arco della vita professionale e della reputazione di Girolama: si tratta della voce di Baglione che includeva la famiglia Parasole tra le biografie degli artisti romani degni di nota.
Il riconoscimento degli incisori come artisti si basava – lo abbiamo visto poc’anzi – sulla competenza nel disegno e sul ruolo svolto nel far conoscere le opere dei grandi maestri al resto del mondo. Baglione avvicina i pittori agli incisori ricordando che alcuni pittori non solo facevano stampare le proprie opere, ma forse praticavano a loro volta l’incisione. Benché acquafortisti e intagliatori in rame godessero di maggiore prestigio tra gli incisori, Baglione mostra un insolito interesse per l’incisione xilografica, tecnica di cui fornisce una descrizione particolareggiata nella vita dello scarsamente noto Giovan Giorgio Nuvolstella. L’appartenenza alla Compagnia di San Giuseppe di Terrasanta, di cui è membro attivo dal 1600 fino alla morte (1643), consente a Baglione di entrare in contatto con un’ampia gamma di figure legate alle arti – battilori, intagliatori, librari e musici –, offrendogli più possibilità di incontro di quante non ne avrebbe avute partecipando alle “congregazioni” dell’Accademia, dove il suo impegno non era meno intenso[12]. Poiché la Compagnia ammetteva le donne tra i suoi membri, anche se non a pieno titolo, Baglione sapeva delle mogli artiste dei confratelli, benché non sia chiaro se le abbia mai incontrate di persona. Di certo non conosceva tutti i membri della famiglia Parasole, nessuno dei quali appare negli elenchi della confraternita. Avrebbe invece conosciuto Giovanni Battista Raimondi, il celebre arabista e direttore della Tipografia Medicea Orientale, con cui Leonardo Parasole collaborò da vicino negli ultimi decenni della sua vita[13]. Raimondi, la cui scomparsa avrebbe suscitato profondo cordoglio tra i confratelli, fu amico oltre che datore di lavoro di Girolama e Leonardo, di cui tenne a battesimo la figlia nel 1589[14]. In pochi brevi paragrafi, Baglione non solo offre l’unica notizia dei Parasole nella letteratura artistica della prima età moderna, ma fraintende i rapporti reciproci dei membri della famiglia in modo da confondere profondamente la natura della loro attività, e le loro identità, per i secoli a venire[15]. Questo fraintendimento può tuttavia tornare utile per comprendere la concezione che Girolama Parasole aveva del proprio lavoro.
Che cosa può svelarci il resoconto di Baglione su Girolama, che peraltro non viene mai nominata? Verso la fine della biografia precedente nelle Vite, l’autore ci dice che alcune opere di Giovanni Maggi erano state riprodotte in xilografia da Paul Maupin, e poiché probabilmente sapeva che quest’ultimo aveva collaborato con Leonardo Parasole, usa tale collegamento per passare alla Vita di Lionardo, Isabella e Bernardino Parasoli. Questi congiunti, che Baglione ritiene rilevanti per l’evoluzione dell’arte dell’intaglio, sono trattati in gruppo nel capitolo sugli intagliatori, sebbene Bernardino praticasse solo la pittura. Scrive Baglione: “Con l’occasione, che abbiamo nominati gli intagli di legno, alla memoria ora mi si rappresenta Lionardo Parasole Norcino, il quale in legno le sue opere formava, ed acquistonne lode, per essere in ragione di taglio più difficile, e più pericoloso quello del legno, che del rame”. Il biografo prende le mosse dall’erbario di Durante, sottolineando come quest’ultimo fosse stato il medico di Sisto V. Riferisce che le immagini su cui Leonardo lavorava erano spesso fornite da Antonio Tempesta, comprese quelle per i vangeli in arabo stampati presso la Tipografia Medicea Orientale, e riserva un encomio speciale al suo direttore scientifico Raimondi, “grandissimo letterato” a cui la confraternita dell’artista tributò grandi onori in occasione della sua scomparsa. Scrive anche che il figlio di Leonardo, Bernardino, era stato allievo del cavalier d’Arpino e, menzionando gli affreschi che “colorì di sua mano” nella chiesa di San Rocco, poté solo dire che era morto giovane e che “da lui lavori degni di lode si speravano”[16].
Fig. 2. Isabella Parasole, “Lavoro a ponto reticella”, in Specchio delle virtuose donne, dove si vedono bellissimi lavori di punto in aria, reticella, di maglia, & piombini, disegnata da Isabetta Catanea Parasole, Roma, 1595, s.p., Bibliothèque nationale de France
In questa breve nota Baglione, che probabilmente aveva solo sentito parlare delle cognate Isabella e Girolama, sovrappone le due figure sotto il nome della prima, il solo a essere mai apparso a stampa. Isabella Catanea Parasole, erroneamente identificata dal biografo con la moglie di Leonardo e la madre del suo figlio minore Bernardino, era in realtà la seconda moglie di Rosato, il fratello pittore di Leonardo. Era una delle tante giovani da marito a rischio di finire nella prostituzione che, grazie alle moderne iniziative della riforma cattolica, erano state sottratte a quella vita e accolte nel convento agostiniano di Santa Caterina dei Funari, dove imparavano a ricamare e ricevevano una dote[17]. Rosato fece richiesta al convento di sposare Isabella nel 1593, consapevole della forte domanda di modelli ornamentali originali da parte del mercato e del valore di una moglie istruita, dotata e operosa, nonché – probabilmente – anche di bella presenza. Baglione sembra non sapere nulla della vera moglie di Leonardo. Come lui, anche Girolama era figlia di un artigiano (cappellaio), a sua volta originario di Visso[18]. Rosato abbandonò l’attività familiare a distanza di un anno da Leonardo per lavorare come mosaicista e pittore decorativo[19]. Si guadagnava da vivere eseguendo pitture murali, apparati effimeri per feste e, a partire dal 1602, mosaici per la cupola interna di San Pietro[20]. Sebbene avesse partecipato quantomeno ad alcune delle congregazioni dell’Accademia di San Luca, Baglione non lo nomina mai. Eppure era stato proprio lui il promotore del primo modellario di merletti splendidamente illustrato, con intricati motivi geometrici in bianco su fondo nero e che riportano il nome della moglie Isabella come autrice (fig. 2). Apparso nel 1595, il volume recava l’elegante titolo Specchio delle virtuose donne ed era stampato “ad’istantia di Rosato Parasole”[21]. La lunga dedica a tutta pagina rivolta alla duchessa di Sermoneta in tono appropriatamente cortese mostra come la nuova autrice fosse ben consapevole dello stile e dell’importanza di collocare la dedica in apertura del libro secondo la consuetudine.
È molto probabile che diversi modellari di merletti divenuti celebri e attribuiti a Isabella siano stati disegnati, incisi e stampati da membri della famiglia Parasole insieme ai loro collaboratori. Il convento agostiniano dove Isabella era stata istruita era specializzato nell’insegnare a disegnare merletti, un’attività remunerativa che avrebbe reso le ragazze formate una risorsa preziosa per l’economia di qualsiasi famiglia artigiana. Non vi è tuttavia motivo di supporre che si insegnasse anche a incidere intricati motivi nel legno di bosso, noto per la sua durezza e densità: lo stesso Baglione definisce quell’arte pericolosa e difficile, perché i piccoli triangoli e cerchietti bianchi che compongono i disegni dei merletti dovevano essere asportati dalla superficie della matrice lignea con coltellini affilati. Scrive il biografo nella Vita di Nuvolstella:
“Et hora l’età nostra mirasi ne’ legni figurar gl’intagli delle sue opere. Cava è la parte, che non serve; e l’altra, che serve, restandovi a guisa di basso rilievo, mostra l’imagini, e rappresenta l’historie; e lo stromento a ciò fare è un ferro, che dall’Artefice maneggiato co’l taglio opera, e mentre sminuisce la materia, cresce la forma, e dal mancamento delle parti riceve la perfettione il tutto”[22].
Baglione riferisce che Nuvolstella aiutava Isabella nell’intaglio di immagini botaniche per Federico Cesi quando lei non riusciva a completarle. Noi sappiamo che era Girolama a intagliare quelle immagini, ma la confusione di Baglione ci aiuta a comprendere da un lato quanto stretta fosse la collaborazione tra le due donne che univano le rispettive competenze per produrre modellari, e dall’altro l’invisibilità del contributo anonimo eppure fondamentale di Girolama ai progetti.
Fig. 3. Ludovico Curione, Il modo di scrivere le cancellaresche corsive et altre maniere di lettere di Lodovico Curione. Intagliato in legno per Leonardo Parasole, Libro Primo (Rome, 1586), s.p., Biblioteca Archiginnasio Bologna
L’anno in cui Rosato lasciò la bottega di famiglia, Leonardo stipulò un contratto con gli editori dell’erbario per incidere, stampare e vendere un manuale di calligrafia realizzato da Ludovico Curione, uno dei più celebri maestri di scrittura dell’epoca[23]. È del tutto verosimile che sia stata proprio la dedica di Curione al cardinale d’Este a ispirare quella nel modellario di Isabella, pubblicato a distanza di quasi un decennio. Fatto insolito per un volume di calligrafia a stampa, alcune lettere erano rese in bianco su fondo nero (fig. 3). Le pagine, incise sette anni prima che Isabella entrasse a far parte della famiglia, erano incorniciate da svolazzanti ghirigori a imitazione dei tratti di penna spessi e sottili, e le immagini bianche su sfondo nero elaborate per queste stampe divennero una caratteristica distintiva dello stile incisorio dei Parasole. Inizia così a delinearsi il quadro di una famiglia di intagliatori e decoratori di matrici lignee con aderenze nel mondo dell’editoria illustrata e negli ambienti papali e aristocratici.
Fig. 4. Girolama Parasole, “Giove Pluvio”, da Cesare Baronio, Annales Ecclesiastici, Roma, 1594, vol. 2, p. 209, Österreichische Nationalbibliothek
Dagli inventari dei beni redatti alla morte di Leonardo (1612) e Girolama (1622) risulta che nella loro abitazione non avevano un torchio da stampa, ma solo un tavolo da lavoro per intagliare le matrici in legno. A quanto pare non possedevano uno studio o un laboratorio separati dalla casa davanti alla Fontana di Trevi. In tutta la loro vita professionale, lavorarono per fornire immagini a clienti come il tipografo Fachetti e l’editore oratoriano Jacopo Tornieri. Che le due cognate lavorassero insieme negli anni in cui erano entrambe impegnate a crescere la numerosa prole era in linea con la concezione di bottega che si aveva in famiglia. Girolama era esperta nell’intagliare immagini complesse per illustrazioni botaniche e ornamenti calligrafici dalle linee sinuose e sottili capaci di sopravvivere al torchio, mentre Isabella sapeva inventare e disegnare merletti che incorporavano e scomponevano visivamente elementi floreali e viticci[24]. Leonardo era bravo nel creare modellari a stampa e nel seguire le pubblicazioni districandosi tra contratti, associazioni legali, questioni finanziarie e autorizzazioni ufficiali. Quanto a Rosato, l’esperienza come pittore decorativo gli dava modo di comprendere che i motivi proposti per la produzione di merletti potevano servire anche a pittori murali, ricamatori, ritrattisti e persino giardinieri. I toni vivaci e cortesi usati da Isabella nella dedica a una mecenate reale o aspirante tale probabilmente andavano oltre i comportamenti di zoccolai e artigiani simili, aprendo una finestra sul grado di istruzione e la classe sociale delle giovani educate in convento e sul mecenatismo praticato da devote nobildonne negli istituti religiosi femminili[25]. Il matrimonio di Rosato con Isabella raddoppiò dunque il numero di donne di talento in famiglia, apportando nuove competenze e savoir faire e ampliando le possibilità di produzione nel settore dei modellari.
Fig. 5. “Giove Pluvio”, in Cesare Baronio, Annales Ecclesiastici, Roma, 1590, vol. 2, p. 198, Österreichische Nationalbibliothek
Tutti i modellari di Isabella avevano copertine disadorne, ad eccezione dell’ultimo, Teatro delle nobili et virtuose donne (1616), che presentava un elaborato frontespizio ornamentale realizzato dall’accademico e incisore Francesco Villamena. È questa l’opera di Isabella che Baglione cita nella sua biografia. Così come il legame con Antonio Tempesta dava lustro a Leonardo e quello con Giuseppe Cesari a Bernardino, Isabella è associata all’abile intagliatore Giovan Giorgio Nuvolstella e all’accademico Francesco Villamena. La storia in qualche modo scarna dei successi artistici dei Parasole viene così rafforzata dalla ghirlanda di papi benemeriti, medici illustri, insigni studiosi e membri di spicco dell’Accademia di San Luca che le fanno da cornice.
Abbiamo inserito la descrizione della carriera di Girolama e della sua fama – per come appare – tra due fonti primarie, nessuna delle quali in realtà la cita. Gli esempi di opere firmate da lei sono estremamente rari. Tre libri includono illustrazioni xilografiche con il suo monogramma:
1. Dialoghi di don Antonio Agustín… intorno alle medaglie inscrittioni et altre antichità, 1592.[26] Il libro è interamente illustrato con immagini di medaglie non firmate, come quelle delle iscrizioni che sono l’oggetto del libro. Solo quattro immagini recano i monogrammi di Girolama (sotto un’immagine dell’arco di Tito), Leonardo e Paul Maupin. Le xilografie monogrammate a tutta pagina rappresentano archi romani con iscrizioni in un contesto urbano. A differenza delle immagini di medaglie, mostrano l’uso della prospettiva, ombreggiature ed effetti atmosferici, ornamenti architettonici e figure. Per queste immagini non è riportato il nome di un inventore, anche se alcune sono chiaramente copie di celebri stampe di Nicolas Béatrizet e altri.
2. De SS. martyrvm crvciatibvs, 1594. Si tratta di una versione latina in formato ridotto, con xilografie disegnate da Giovanni Guerra, di un volume italiano illustrato con acqueforti di Antonio Tempesta raffiguranti torture e martiri di santi cattolici[27].
Fig. 6. Il miracolo della pioggia nel territorio dei Quadi, particolare dalla Colonna di Marco Aurelio, 193 d.C. circa, fregio in marmo
3. Annales Ecclestiastici, 1594. Come nel dialogo di Antonio Agustín, gran parte delle immagini illustrate in questi volumi raffigurano medaglie, nessuna delle quali è firmata. Dai registri dell’editore risulta tuttavia che in questo periodo Leonardo fu pagato uno scudo per ogni immagine di medaglia e in più ricevette otto scudi per un’incisione su legno di Giove Pluvio, ispirata a una famosa scena della colonna di Marco Aurelio, recante il monogramma di Girolama[28]. Questo dimostra, al di là delle ipotesi, che i contratti per i lavori dell’artista erano stipulati a nome di Leonardo[29]. L’immagine, sufficientemente piccola da essere incisa su legno di bosso – attività in cui la famiglia era specializzata – si distingue nettamente da una versione precedente dello stesso volume stampata nel 1590 e ritenuta insoddisfacente (figg. 4-6). Sfruttando al meglio la sua abilità nell’incidere suggestive forme bianche serpeggianti su sfondi scuri, Girolama enfatizza i tuoni e i lampi che accompagnano il dio, la cui miracolosa apparizione porta pioggia vivificante. Lavora abilmente sugli effetti del chiaroscuro nell’immagine conferendo profondità all’ombra dietro alle spalle del dio, dalla quale soldati e cavalli precipitano verso la morte. In primo piano, una figura patetica vista di scorcio – forse ispirata ad antichi rilievi di niobidi o amazzonomachie, forse a incisioni di scene di battaglia come quelle di Marco Dente – giace accasciata in un vortice d’acqua, la testa appoggiata al braccio piegato (fig. 7)[30].
In ultimo, due grandi e ambiziose xilografie narrative a foglio singolo senza data costituiscono forse il tassello più importante per comprendere il possibile significato della pratica di Girolama in relazione al ritratto dell’Accademia. Queste incisioni popolate di figure, una di soggetto biblico e una di tema mitologico, sono entrambe realizzate a partire da disegni di Antonio Tempesta e recano la firma completa di Girolama anziché un semplice monogramma:
1. Il Giudizio universale, in basso a sinistra: HIER[onim].A P[arasol].E INC[idit]. /A[ntonio]TE[mpesta] (fig. 8)[31].
2. Battaglia tra Lapiti e Centauri, in basso al centro: HIERONIMA PARASOLIA INCID.; in basso a sinistra: ANTO. TEMPEST. Inven. (fig. 9)[32].
Fig. 7. Marco Dente da Raffaello, Scena di battaglia in un paesaggio con soldati a cavallo, diversi uomini caduti e un altro gruppo di cavalieri sullo sfondo, 1520 circa, incisione, The Metropolitan Museum of Art, The Elisha Whittelsey Collection, The Elisha Whittelsey Fund, 1959, 59.570.277
Entrambe le incisioni sono ben più grandi delle piccole matrici in legno di bosso che Girolama era solita intagliare e che si adattavano alle cornici tipografiche tra i caratteri di testo. Le loro dimensioni sono leggermente inferiori a quelle di un foglio imperiale e, benché i rari esemplari di entrambe giunti fino a noi siano ritagliati vicino all’immagine, è possibile notare che in origine erano circondati da un bordo nero[33]. Il formato della Battaglia tra Lapiti e Centauri può aver influito in parte sulla forza espressiva dell’esecuzione, di cui è difficile cogliere appieno l’effetto per via della distribuzione irregolare dell’inchiostro su una superficie così ampia. La drammatica scena di battaglia rappresenta soldati a cavallo e centauri che brandiscono spade; in basso al centro, al di sopra di un cartiglio che proclama la versione latina del nome di Girolama, un centauro sconfitto giace accasciato al suolo, la testa affondata nel braccio piegato. La mischia di uomini e cavalli è un tratto distintivo di Tempesta, di cui Girolama iscrive orgogliosamente il nome come inventore dell’immagine sulla fibbia di uno scudo in primo piano a destra.
Fig. 8. Girolama Parasole da Antonio Tempesta, Il Giudizio universale, s.d., xilografia, Gabinetto dei disegni e delle stampe “Angelo Davoli”, Biblioteca Panizzi
C’è ancora molto da sapere su questa xilografia, notevole tanto per la sua evidente ambizione come grande scena di battaglia popolata da molteplici figure, quanto per essere stata intagliata da una donna che l’ha firmata in posizione ben visibile, in una gioiosa affermazione visiva del suo ruolo di incisora. Sebbene l’immagine non sia datata, la firma completa suggerisce che Girolama l’abbia realizzata da sola, dopo la morte del marito. Lo stato vedovile le dava la possibilità di muoversi liberamente a Roma, protetta dalla comunità di artisti e scrittori che in passato avevano fornito a lei e al marito immagini da incidere ed erano stati padrini e datori di lavoro dei loro figli. Forse Girolama aveva preso atto dell’alto pregio del suo lavoro sull’immagine di Giove Pluvio e si sentiva abbastanza sicura da provare l’incisione in un contesto diverso – quello dell’artista –, il che avrebbe offerto nuove opportunità agli intagliatori, che come si andava affermando, venivano considerati professionisti del disegno. Il necrologio nei registri parrocchiali la indica curiosamente come “scultrice e pittrice”[34]. Ma quale contributo ha dato la sua presenza, nella forma di un ritratto, alla storia intenzionale dell’Accademia di San Luca e alla sua narrazione dello sviluppo delle arti a Roma? Quale tipo di modello da seguire ha offerto agli artisti questa effige?
Fig. 9. Girolama Parasole da Antonio Tempesta, Battaglia tra Lapiti e Centauri, s.d., xilografia, The Art Institute of Chicago, The Amanda S. Johnson and Marion J. Livingston Fund, 1999.684
Se accostiamo il ritratto di Girolama a quello di Sofonisba Anguissola – che oggi sappiamo non essere un ritratto fedele ma piuttosto una rappresentazione dell’idea che l’Accademia di San Luca aveva di lei – non ci è difficile immaginare come queste due figure di donna incarnassero per gli artisti tipi e modelli (fig. 10). Il presunto ritratto di Sofonisba in veste di dama di corte – con gorgiera di pizzo, acconciatura elaborata e orecchini di perle – può far pensare a una dama di compagnia, ruolo che effettivamente rivestiva presso la corte spagnola; in quel contesto una donna poteva ragionevolmente comportarsi come pittrice, una tipologia di artista che però non trovava spazio tra i ritratti accademici. Il ritratto fastidiosamente modesto di Girolama ci mostra invece una devota artigiana che in quanto vedova opera con il proprio nome, portando diligentemente avanti il mestiere di famiglia come facevano molte altre donne nella sua condizione nel settore della stampa editoriale. La sua fama di fervente cristiana, l’attività svolta per il medico vaticano o per il cardinale Cesare Baronio, così come la sua possibile mano nelle tante xilografie senza firma per volumi liturgici assemblati e pubblicati dal marito a cavallo del secolo, facevano di lei un originale simbolo del bene che le immagini stampate erano in grado di produrre nel mondo che la chiesa cattolica andava plasmando con l’aiuto del popolo dei fedeli dopo il Concilio di Trento[35]. Quando si includevano ritratti femminili nelle serie di “uomini illustri”, le donne erano spesso raffigurate come figure mitologiche o bibliche; esse rappresentavano dei tipi al confronto con gli uomini riconoscibili e ben collocati nel loro tempo a cui venivano accostate. Gabriele Paleotti ci ricorda opportunamente l’importanza di distinguere l’esecuzione di un ritratto dai suoi usi successivi: i ritratti dovevano raffigurare “persone la cui bontà morale o santità cristiana possa stimolare altri a praticare le virtù”[36]. La loro varietà permetteva agli studenti di analizzare le diverse forme di grandezza che un artista poteva incarnare. Il ritratto di Girolama aggiunge senz’altro una dimensione alla concezione che l’Accademia aveva delle artiste donne, pur restituendo una visione limitata della vera vita lavorativa o delle aspirazioni – forse indecifrabili – dell’effigiata.
Fig. 10. Anonimo, Ritratto di Sofonisba Anguissola, ante 1633, olio su tela, Accademia di San Luca, Roma
L’errore di Baglione ci porta a riflettere sulle strutture
comunitarie in cui Girolama viveva e lavorava, mostrando quanto sia
anacronistico ritenere che la collocazione del suo ritratto tra gli
accademici implicasse un’uguaglianza, in termini di partecipazione alla
scena artistica, tra lei e gli accademici con cui lavorava a stretto
contatto. Tra questi, Antonio Tempesta, Francesco Villamena, Cristoforo
Roncalli, e Giuseppe Cesari erano particolarmente vicini a lei e alla
sua famiglia. Una cronaca della vita e delle opere di Girolama –
comprese le poche immagini firmate che ci danno il senso del suo apporto
nella bottega di famiglia e del suo ruolo nella produzione dell’atlante
illustrato della vita intellettuale nella Roma della prima età moderna –
non riesce a produrre una narrativa coerente del ritratto
nell’Accademia. L’aspetto forse più singolare del ritratto dipinto di
Girolama Parasole tra quelli degli accademici è che ci invita a
riflettere in modo più aperto sull’identità degli incisori, sui loro
comportamenti e sulle opportunità che si aprivano loro nella Roma della
controriforma cattolica – opportunità che, entro certi limiti, la nuova
Accademia trovò utile abbracciare.
Note
[1] Caroline Jones, “The Artist-Function and Posthumous Art History,” Art Journal 76, n. 1 (primavera 2017): pp. 144–145.
[2] Jones (2017), p. 145, parla della coerenza percepita della “funzione-autore postuma” creata dagli storici.
[3]Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, (Roma, 1642). Sulle biografie degli incisori redatte da Baglione, vedi l’edizione di Intagliatori curata da Giovanni Maria Fara (Pisa 2016). Fara illustra come per molti di queste biografie Baglione attinga informazioni dalle Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini (sezione V, parte 1). Le biografie che non appaiono in Mancini e sembrano frutto un’invenzione di Baglione includono quelle di Camillo Graffico, Raffaello Guidi, Giovanni Maggi, Giovan Giorgio Nuvolstella e della famiglia Parasole.
[4] Baglione (1642), p. 387.
[5] Vedi Susan Nalezyty, “Girolama Parasole among the ‘Illustrious’ in the Portrait Collection at the Accademia di San Luca,” The History of the Accademia di San Luca, c. 1590–1635: Documents from the Archivio di Stato di Roma.
[6] Per una panoramica sulla famiglia Parasole, vedi Evelyn Lincoln, "The Parasole Family Enterprise and Book Illustration at the Medici Press", in The Medici Oriental Press: Knowledge and Cultural Transfer around 1600, a cura di Eckhard Leuschner e Gerhard Wolf (Firenze, 2022), pp. 110-118.
[7] Marco Pupillo, “Gli incisori di Baronio. Il maestro ‘MGF,’ Philippe Thomassin, Leonardo e Girolama Parasole (con una nota su Isabella/Isabetta/Elisabetto Parasole),” in Baronio e le sue fonti, a cura di Luigi Gulia (Sora, 2009), p. 845.
[8] Thomas Kuehn, Law, Family, and Women: Toward a Legal Anthropology of Renaissance Italy (Chicago, 1991), p. 237. Per l’adozione romana della consuetudine fiorentina, vedi Simona Feci, Christiane Klapisch-Zuber, Didier Lett, and Marian Rothstein, “Women’s Mobility, Rights, and Citizenship in Medieval and Early Modern Italy,” in "Gender and the Citizen,” Clio. Women, Gender, History, no. 43 (2016): pp. 48–72.
[9] Documento in gran parte pubblicato in Gian Ludovico Masetti Zannini, Stampatori e Librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento (Roma, 1980), pp. 279–280.
[10] La data dell’arrivo della famiglia a Roma è calcolata dalla deposizione di Leonardo al processo di canonizzazione di Filippo Neri il 12 dicembre 1598. Testimonianza in Giovanni Incisa della Rocchetta e Nello Vian (a cura di), Il primo processo per San Filippo Neri (Città del Vaticano, 1958), vol. 2, pp. 212-214.
[11] Herbario Nuovo di Castore Durante (Roma, 1585).
[12] Vitaliano Tiberia, Attività e ‘eredità' di Giovanni Baglione per la Compagnia di San Giuseppe di Terrasanta,” in Studi sul Barocco romano. Scritti in onore di Maurizio Fagiolo dell’Arco (Milano, 2004), pp. 35–38; J. A. F. Orbaan, “Virtuosi al Pantheon", Repertorium für Kunstwissenschaft 37 (1915): pp. 17–52, per le liste di donne affiliate alla confraternita.
[13] Evangelium Iesu Christi quemadmodum scripsit Mar Mattheus unus ex duodecim discipulis eius (Roma, 1590), con un’edizione bilingue in arabo-latino del 1591. Vedi Caren Reimann, Die Arabischen Evangelien der Typographia Medicea, Buchhandel un Buchillustration in Rom un 1600 (Berlino, 2021).
[14] Orbaan (1915), pp. 40–41; Pupillo (2009), p. 844.
[15] La documentazione che disambigua i rapporti tra i membri della famiglia è pubblicata in Pupillo (2009).
[16] Bernardino era ancora vivo e fu nominato dal tribunale “unico figlio et herede” quando Girolama morì intestata nel 1622.
[17] Pupillo (2009), pp. 847–848; Rose Marie San Juan, Rome: A City Out of Print (Minneapolis, 2001), pp. 95–128; Alessandra Franco, “The Conservatorio di Santa Caterina della Rosa: Sheltering and Educating Women in Early Modern Rome” tesi di dottorato, Brown University, (Providence, 2015).
[18] Ringrazio Tom e Libby Cohen per il loro aiuto nel confermare la definizione di “capillarius”.
[19] ASR 30 Not Cap. uff. 16, ASR 30 Not Cap., Atti Bernardino Pascasius, f. 193r: 21 febraro 1586. Nel 1593 Rosato risulta impegnato nella realizzazione di una decorazione murale per un cliente, 18-19 maggio 1593, Atti Tino, v. 14, cc. 383r–384r.
[20] Lincoln (2022), p. 101.
[21] Isabetta Parasole, Specchio delle Virtuose Donne, dove si vedono bellissimi lavori di punto in aria, reticella, di maglia, & piombini, disegnata da Isabetta Catanea Parasole (Roma, 1595).
[22] Baglione (1642), p. 396, nella sezione sugli Intagliatori.
[23] Il modo di scrivere le cancelleresche et altre maniere di lettere di Lodovico Curione. Intagliato in legno per Leonardo Parasole, Libro Primo (Roma, 1586).
[24] Pupillo (2009), p. 849, ipotizza che i modellari di merletti possano essere stati intagliati da un altro membro della famiglia, dato che la lavorazione e il disegno di merletti erano l’insegnamento in cui erano specializzati i conventi agostiniani.
[25] Pupillo (2009), p. 848, suggerisce che la stessa Isabella potesse avere un familiare nobile.
[26] Antonio Agustín, Dialoghi di Don Antonio Agostini arcivescovo di Tarracona intorno alle medaglie inscrittioni et altre antichità (Roma, 1592), p. 124. Il monogramma di Leonardo appare a pagina 126.
[27] Antonio Gallonio, De SS. martyrvm crvciatibvs (Roma, 1594), p. 44. Il monogramma di Leonardo appare a pagina 123. Vedi Giuseppe Finocchiaro, Cesare Baronio e la tipografia dell’oratorio (Firenze, 2005), pp. 86–89. Vedi anche Jetze Touber, Law, Medicine, and Engineering in the Cult of the Saints (Leiden, 2014), pp. 222–230; Marco Pupillo, in La Regola e la fama: San Filippo Neri e L’arte (Milano, 1995), pp. 513–514; Pupillo (2009), p. 840.
[28] Pupillo (2009), pp. 837-840. Una diversa incisione su legno di Giove Pluvio appare nell’edizione del 1590 degli Annales stampata presso la Tipografia Vaticana. La versione di Girolama fu usata come modello per successive edizioni degli Annales, come quella stampata a Colonia da Anton Hierat e Johann Gymnich, senza il suo monogramma. Per la doppia stampa del volume, vedi Finocchiaro (2005), pp. 28-40.
[29] Cesare Baronio, Annales Ecclestiastici (Roma, 1594), vol. 2, p. 209. Finocchiaro (2005), p. 122, riporta il pagamento di otto scudi a Leonardo Parasole “per l’intaglio in legno di Giove Pluvio che va nel secondo tomo dell’Annali…”.
[30] Ringrazio Jamie Gabbarelli per avermi segnalato l’incisione di Dente.
[31] Impressions of The Last Judgment are in the collection of the Victoria and Albert Museum, Metropolitan Museum of Art, and Biblioteca Panizzi.
[32] Riproduzioni del Giudizio universale si trovano nella collezione del Victoria and Albert Museum, al Metropolitan Museum of Art e presso la Biblioteca Panizzi.
[33] Il foglio imperiale, che costituiva il formato più grande, misurava circa 500 x 740 mm. L’esemplare della Battaglia tra Centauri e Lapiti conservato presso l’Art Institute of Chicago misura 415 x 672 mm. Il foglio reale, ossia il formato successivo, misurava circa 445 x 615 mm.
[34] Pupillo (2009), p. 845: “Adi 8 [07.1622] morì la sig.ra Girolama Parasole scultrice, e pitrice…”.
[35] I libri liturgici includevano il Cerimoniale Episcoporum (Roma, 1600), e il Pontificale Romanum Clementis VIII… (Roma, 1595).
[36] Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, trad. William McCuaig (Los Angeles, 2012), p. 205.