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    Girolama Parasole tra gli “illustri” nella collezione di ritratti dell’Accademia di San Luca

    Susan Nalezyty  

    Il ritratto di Girolama Parasole all’Accademia

    Fig. 1. Anonimo, Ritratto di Girolama Parasole, ante 1633, olio su tela, Accademia di San Luca, Roma

    Il progetto The History of the Accademia di San Luca, c. 1590–1635[1] ha reso disponibili per la consultazione tre inventari stilati nei primi anni del Seicento in cui viene descritta una collezione di ritratti di artisti storicamente importanti esposta all’Accademia di San Luca. L’inventario del 1633 elenca, nello spazio di una pagina e mezzo, 69 nomi di effigiati corrispondenti a figure coeve e del passato lontano e recente[2]. Il tratto di penna del notaio alla fine del nome latinizzato di un’artista donna, Hieronima Parasoli, avrebbe potuto facilmente essere preso per una “o”, portando all’errata trascrizione di Hieronimo. Ma un raffronto tra questa testimonianza documentale e un ritratto anonimo tutt’oggi conservato all’Accademia conferma che l’identità della figura femminile raffigurata corrisponde a quella di Girolama Cagnaccia Parasole (1567 circa-1622), illustratrice romana specializzata nell’arte dell’incisione (fig. 1)[3]. Un cartiglio alla base del dipinto reca un’altra variante del suo nome: “Girolama Parasoli Sc./1612”, dove “Sc.” sta per sculptor, termine con cui venivano descritti gli incisori che lavoravano su diversi materiali – nel suo caso, matrici lignee da cui realizzare xilografie. Girolama è vestita di nero e porta un velo vedovile, elemento che rimanda alla data inscritta nel dipinto – 1612 – ossia l’anno di morte del marito Leonardo Parasole, con il quale aveva prodotto illustrazioni per editori locali[4]. Girolama aveva all’epoca 45 anni e nel decennio successivo iniziò a lavorare per conto proprio[5].

    Giovanni Baglione la menziona nelle sue Vite de’ pittori, scultori et architetti del 1642, confondendola però con la cognata Isabella Catanea Parasole, a cui si devono numerosi modellari di merletti, uno dei quali presentava un frontespizio inciso da Francesco Villamena. Il biografo riferisce che Isabella – e non Girolama – aveva sposato Leonardo Parasole, dal quale aveva avuto un figlio, Bernardino, che lavorava con il pittore Giuseppe Cesari. Baglione accenna anche al suo contributo per le illustrazioni di un volume su fiori e piante, l’Herbario nuovo di Castore Durante (1585)[6]. La ragione per cui viene dato più risalto a Isabella è probabilmente legata al fatto che il suo nome continuava ad apparire sulle copertine dei tanti libri di cui era autrice. La maggior parte delle opere firmate da Girolama, invece, sopravviveva nelle illustrazioni di testi scritti da altri, perlopiù antiquari ed ecclesiastici, che il biografo trascura di menzionare scegliendo di concentrarsi su soggetti socialmente ritenuti più adatti alle donne, cioè fiori e merletti[7]. Non esistono prove che Isabella sapesse intagliare matrici in legno. Forse Girolama aveva in qualche modo collaborato alle illustrazioni dei libri di sua cognata, ma anche questa è solo una supposizione[8]. L’errore di Baglione, le cui Vite furono pubblicate a vent’anni di distanza dalla morte di Girolama, si è prolungato per secoli. Anche dopo essere stato rilevato da Giovanni Incisa della Rocchetta nel 1957, essere stato evidenziato da Alessandro Zuccari e Marco Pupillo nel 1995 e poi approfondito dallo stesso Pupillo nel 2009, è ripetuto in alcune delle ricerche successive[9]. È curioso che Baglione abbia confuso il nome dell’artista: il ritratto di Girolama è attestato all’Accademia già nel 1633 ed è molto probabile che il biografo, partecipando attivamente alla gestione della scuola, gli passasse accanto con una certa regolarità. Inoltre conosceva certamente la collezione dell’Accademia, di cui nelle Vite descrive 24 ritratti elencati nell’inventario del 1633[10].

    Il potenziale didattico delle collezioni e della biblioteca dell’Accademia  

    La data di origine di questa collezione di ritratti, che già nel 1624 formava un insieme distinto, rimane incerta. I ritratti vengono menzionati nel 1625 in occasione di una visita apostolica alla chiesa di San Luca e Martina, sottolineando che tra gli osservatori non c’erano solo allievi e docenti, ma anche alti funzionari della Chiesa e altri visitatori[11]. Esaminare i tre inventari della collezione dell’Accademia, redatti nell’arco di un decennio, è come sbirciare attraverso il buco della serratura di un’aula d’arte della prima età moderna. In genere, gli inventari sono prove documentali che offrono una sorta di testimonianza oculare sugli oggetti catalogati. Le descrizioni appaiono spesso sintetiche, ma possono svelare il rapporto tra ciò che è descritto e chi lo descrive. Alcuni inventari sono organizzati in base alla conformazione degli spazi in cui le opere erano esposte, mentre in altri gli oggetti sono suddivisi in categorie definite dal compilatore. Questi elenchi possono anche suggerire gerarchie di valore, per cui i nomi degli artisti più apprezzati sono generalmente collocati in alto[12]. L’occasione per redigere un inventario può scaturire da vari fattori, ad esempio la morte del proprietario degli oggetti in questione o il loro trasferimento da una sede all’altra[13].

    Fig. 2. Anonimo, Ritratto di Antonio Tempesta, ante 1633, olio su tela, Accademia di San Luca, Roma

    Il 20 ottobre 1624, il neoeletto principe dell’Accademia Simon Vouet ordinò la compilazione di un inventario dal momento che, come era stato deciso, avrebbe dovuto prendere in consegna tutto ciò che si trovava nell’istituzione[14]. Cinque giorni più tardi, fu stilata una lista dei contenuti di un ambiente posto sopra la chiesa di San Luca, probabilmente il fienile[15]. Qui erano conservati molti oggetti, tra cui nove “ritratti di pittori antichi” racchiusi in cornici rotonde dorate e 53 “ritratti di pittori e scultori” sui quali erano montate delle cornici nere. In origine lo studio era costituito da un’unica grande stanza, ma nel 1625, a quanto pare, lo spazio era stato ampliato fino a comprenderne due. La più grande conteneva molte sedie e poteva quindi essere una sorta di sala di lettura, mentre l’altra custodiva calchi e frammenti di sculture, il che fa ipotizzare che si trattasse dello studio[16]. Nel 1627 il principe eletto Ottavio Leoni dispose di stilare un altro inventario degli oggetti presenti nell’armadio che si trovava nello studio sopra la chiesa. All’epoca si contarono 58 “ritratti di diversi pittori morti”, tutti – tranne tre – con cornici nere[17]. Sei anni dopo, nel 1933, il principe Francesco Mochi richiese un inventario più dettagliato delle due stanze contigue alla chiesa[18]. In questa circostanza vengono registrati nove ritratti di pittori racchiusi in cornici circolari nere o dorate, ma nel corso della lista si fa cenno ad altri “ritratti di pittori illustri”. Vale la pena sottolineare come, diversamente dagli inventari precedenti, qui gli artisti non vengono più descritti come “antichi” o “morti”, ma sono definiti appunto “illustri”. Questo cambiamento di aggettivo dà conto del loro potenziale sotto il profilo didattico: gli effigiati erano stimati per i loro successi e incarnavano dei modelli che gli allievi erano chiamati a seguire. Il loro numero, inoltre, era cresciuto da 58 a 69[19].

     

    Il primo in ordine cronologico è Simone Martini, ma i primi tre nomi elencati sono quelli di Michelangelo, Raffaello e Tiziano, a dimostrazione della loro fama e rilevanza. La lista comprende anche Caravaggio e Annibale Carracci – per quanto la loro appartenenza all’Accademia non sia facilmente documentabile – come pure i due pittori e incisori Agostino Carracci e Antonio Tempesta (fig. 2), del quale Girolama e Leonardo Parasole avevano copiato spesso le opere per illustrazioni editoriali e stampe. I ritratti di Girolama, di Tempesta e di Carracci erano affiancati alle effigi di tre incisori nordeuropei inclusi in questa galleria di figure illustri: Albrecht Dürer, Hendrick Goltzius e Lucas van Leyden. Tra i ritratti c’era anche quello dell’iconografo Cesare Ripa, registrato negli inventari del 1656 e del 1658. Un inventario più tardo documenta tuttavia che alla fine del Seicento esso non appariva più insieme agli altri e risulta oggi disperso[20]. Probabilmente è su questo dipinto mancante che Francesco Villamena, a sua volta rappresentato nella galleria dell’Accademia, basò l’immagine incisa di Ripa, il cui formato ricorda da vicino i tanti ritratti di sua mano giunti fino a noi (fig. 3). L’incisione fu successivamente utilizzata sul frontespizio dell’edizione padovana dell’Iconologia, la raccolta di emblemi pubblicata da Ripa nel 1625[21].

     

    Fig. 3. Francesco Villamena, Ritratto di Cesare Ripa, incisione, The British Museum. Creative Commons (CC BY-NC-SA 4.0)

    Questi dipinti erano parte di un più ampio insieme di volumi e oggetti usati come materiali di riferimento e strumenti pedagogici[22]. Nella biblioteca si trovavano anche gli scritti di alcuni degli artisti i cui ritratti erano esposti all’Accademia, sebbene le edizioni di quei libri non fossero indicate: tra essi, figuravano i Quattro libri sulle proporzioni del corpo umano di Dürer (1525) e due copie del volume di Ripa (prima edizione, 1593; prima edizione illustrata, 1603). Le Metamorfosi di Ovidio, opera di consultazione per la composizione di soggetti classici, così come i Sette libri dell’architettura di Sebastiano Serlio (1537-1575) e L’arte di costruire di Leon Battista Alberti (1443-1452), erano a portata di mano sugli scaffali. Il Trattato dell’arte della pittura, scultura ed architettura di Giovanni Lomazzo (1585) costituiva una base teorica per lo studio delle arti visive, mentre Il cortegiano di Baldassare Castiglione (1528) forniva suggerimenti sui comportamenti da tenere negli ambienti di corte.  

     

    Un aspetto spesso trascurato delle collezioni della prima età moderna riguarda le indicazioni che sono in grado di fornire sui metodi di formazione degli artisti. Da questi tre inventari emerge come gli allievi avessero a disposizione per lo studio anche frammenti di calchi in gesso di gambe, braccia e torsi, nonché un modello della chiesa di San Luca. Tra gli oggetti in elenco figurano teste in gesso di Bacco, di Seneca e di un gladiatore, un busto di Venere, una copia in rame delle figure michelangiolesche che popolano la Cappella Sistina – forse la lastra su cui aveva lavorato un incisore – e persino il frammento di una spalla e parte di un busto scolpiti da Michelangelo stesso. Vi erano poi i dipinti donati da membri dell’Accademia: un’allegoria della Virtù di Baglione, un paesaggio di Paul Bril, un’Assunzione di Ottavio Leoni e un’Eva di Baldassarre Croce, tutti ritenuti perduti. Questa raccolta di oggetti rappresenta una sorta di nucleo museale inziale su cui è stata costruita la ricca collezione giunta fino a noi[23]. Si trattava di immagini e manufatti da osservare e toccare come nelle collezioni permanenti e didattiche dei musei odierni, elementi che avrebbero contribuito alla missione formativa dell’Accademia. Peter M. Lukehart ha ricostruito l’evoluzione degli approcci pedagogici dell’istituzione, delineati da papa Gregorio XIII nel breve del 1577 in cui si dichiarava che l’Accademia aveva il compito di “educare i giovani studiosi alla pratica delle arti”. A questo scritto sarebbero seguiti, il 7 marzo 1593, una dichiarazione compiuta con i relativi statuti e la fondazione. Una breve disamina dei materiali didattici della scuola può servire, allora, a colmare le lacune lasciate dalla pur ricca documentazione delle “congregazioni” (incontri) dell’Accademia, che offre però scarse notizie sulla formazione teorica o pratica degli allievi. L’Origine et progresso dell’Academia (1604) di Romano Alberti fornisce tuttavia una fonte critica per comprendere com’era strutturato l’insegnamento nel periodo in cui Zuccaro rivestì la carica di primo principe[24].

    Da un’analisi del testo, Pietro Roccasecca ha potuto ricostruire gli obiettivi didattici dell’Accademia, che era concepita come una duplice entità: da una parte l’accademia e dall’altra lo studio, quest’ultimo dedicato alla formazione dei giovani artisti. Questi venivano classificati in principianti, “accademici desiderosi” e “accademici studiosi”, i quali potevano partecipare pienamente alla vita intellettuale dell’istituzione. Tra i membri più esperti venivano scelti ogni anno dei maestri con incarichi temporanei per formare gli allievi più giovani, e ogni due settimane gli accademici tenevano un discorso di fronte a colleghi e letterati[25]. Nel contesto pedagogico dell’accademia, quindi, i calchi e i frammenti scultorei venivano usati per lo studio pratico, mentre i libri fungevano da testi di riferimento per i contenuti teorici, eventualmente discussi nelle lezioni. Tutto questo mentre le attività di docenti e allievi all'interno della scuola si svolgevano sotto lo sguardo silenzioso dei volti “illustri” esposti nella galleria.

    L’influenza delle arti visive sulle giovani menti in ambito famigliare era riconosciuta da tempo. All’inizio del Quattrocento, il predicatore domenicano Giovanni Dominici aveva scritto un trattato in cui consigliava alle madri di esporre immagini della Madonna col Bambino in casa per imprimere un’educazione morale ai pargoli[26]. La casa-studio della pittrice secentesca Elisabetta Sirani fungeva sia da spazio domestico e luogo di socializzazione con i committenti, sia da studio per la formazione di artisti. Gli inventari di questa bottega di famiglia elencano disegni, stampe e calchi in gesso di Dürer, Carracci e Michelangelo, mentre la piccola biblioteca ospitava libri di Ovidio e Ripa[27]: gli stessi artisti e autori documentati all’Accademia erano dunque utilizzati come risorse didattiche anche a Bologna. A Roma, gli interni di palazzi prestigiosi precorrevano il concetto di museo pubblico attirando talvolta anche visitatori esterni alle famiglie, inclusi allievi di arti visive[28]. Oggetti scelti con cura e disposti in modo meticoloso possono creare gerarchie e trasmettere narrazioni che orientano e istruiscono l’osservatore. Come osservato da Gail Feigenbaum, la storia dell’arte veniva risolta sulle pareti delle case dei collezionisti romani, che promuovevano gli artisti esattamente come aveva fatto Vasari nelle pagine delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori[29].  

    L’idea di esporre opere per favorire la formazione di un canone da parte di un’istituzione pedagogica mostra come l’Accademia di San Luca cercasse di definire l’educazione artistica in un campo largamente indefinito. Le pareti della scuola erano decorate come un palazzo romano e i ritratti creavano un’atmosfera formale e istituzionale all’interno di spazi modesti. Questa galleria di figure celebri traeva origine dalla consuetudine di esibire illustrium imagines. Gli antichi romani esponevano ritratti in ossequio agli antenati, una pratica successivamente rinnovata con una maggiore attenzione agli scritti di Petrarca, in particolare al De viris illustribus[30]. Presentare delle biografie in una sequenza cronologica era stato il concetto chiave scelto da Vasari per organizzare le Vite nel 1550. Sotto la sua influenza, nello statuto dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze approvato nel 1563 si era espressa la volontà di esporre opere d’arte in un fregio che documentasse tutti gli artisti eccellenti a cominciare da Cimabue. Nel 1568, Vasari aveva illustrato la seconda edizione delle Vite con le effigi degli artisti, ciascuna racchiusa in una cornice architettonica all’antica[31]. I ritratti dell’Accademia seguivano uno schema analogo, ancorché più sobrio, e Baglione, che modellò le sue Vite su quelle di Vasari, fa riferimento a molti di quei dipinti per documentarne l’esistenza e giustificare l’inclusione o esclusione di un artista nella sua raccolta di biografie.

    Curatori e donatori della collezione di ritratti

    Fig. 4. Ottavio Leoni, Cristoforo Roncalli, 1623, incisione, National Gallery of Art, Dono di W.G. Russell Allen, 1941.8.18

    Se a orientare le scelte in una collezione istituzionale sviluppata nell’arco di molti anni non è quasi mai una figura unica, stabilire chi dovesse apparire nella galleria dell’Accademia deve aver certamente generato un dibattito molto acceso durante le “adunanze” (riunioni) degli accademici. Gli autori della maggior parte di questi dipinti rimangono sconosciuti. Secondo Baglione, Antiveduto Gramatica eseguì il proprio ritratto, Orazio Borgiani eseguì quello di Tommaso Laureti e Ottavio Leoni quello di Tommaso Salini[32]. Un volume rilegato di disegni di Leoni conservato a Firenze contiene sei ritratti molto somiglianti a quelli elencati nell’inventario del 1633: essi rappresentano Annibale e Agostino Carracci, Caravaggio, Antonio Tempesta, Cristoforo Roncalli e Ludovico Leoni[33]. Da queste opere grafiche, Leoni incise dei ritratti datati tra il 1621 e il 1625, come ad esempio la stampa dal ritratto di Roncalli (fig. 4)[34]. Ciò suggerisce che queste immagini disegnate e stampate fossero i modelli utilizzati come base per i ritratti dipinti. Le iscrizioni sul verso delle effigi di Michelangelo, Dürer, Baccio Bandinelli, Adam Elsheimer e Jacopino del Conte indicano che Leoni le donò nel 1616[35]. L’effige di Leoni non era elencata nell’inventario del 1633, ma il suo figliastro, Ippolito Leoni, eseguì un ritratto di Ottavio che donò nello stesso anno, come riporta un’iscrizione sul verso[36]. Lo stesso Leoni, in qualità di neoeletto principe, aveva richiesto la compilazione dell’inventario del 1627 in cui erano elencati 58 ritratti, forse per avere contezza di chi fosse già incluso e chi potesse essere aggiunto. Sei anni dopo, furono contati undici ritratti in più, il che porta a ipotizzare che Leoni sia stato un elemento propulsore nell’ampliamento della collezione dell’Accademia[37].

    I principi avevano un peso rilevante nel processo decisionale. Secondo quanto riporta Baglione, Ottavio Leoni disegnò, incise e dipinse un ritratto del padre Ludovico, che poi donò all’Accademia[38]. Le iscrizioni sul verso dei ritratti di Matthijs Bril e Bernardino Cesari documentano che i rispettivi fratelli, Paul Bril e Giuseppe Cesari, donarono quei dipinti nel 1622. Il ritratto di Luca Cambiaso, come afferma un’iscrizione sul verso, fu donato dall’allievo Bernardo Castello, il quale probabilmente utilizzò come modello un autoritratto che si trova agli Uffizi[39]. Comprendere come i propositi di alcuni di questi donatori abbiano favorito l’inclusione di figure per loro significative può forse aiutare a spiegare come Girolama Parasole – una donna che lavorava in ambito commerciale come illustratrice editoriale – sia entrata a far parte della collezione. Pur non avendo certamente l’influenza di un principe, Rosato e Bernardino Parasole potrebbero aver inciso sulla decisione di includere un membro della loro famiglia. Rosato, cognato di Girolama, compare come testimone in verbali di riunioni amministrative dell’Accademia, una per la nomina di un procuratore e un’altra per la ricezione di un pagamento. Bernardino, figlio di Girolama, era presente alla “congregazione” del 1624 in cui il principe ordinò un inventario della collezione[40]. Visti i contatti di Bernardino con Giuseppe Cesari e Cristoforo Roncalli, è verosimile che anche loro si siano espressi in favore dell’inclusione di Girolama. Inoltre, il fatto che molte delle incisioni e illustrazioni editoriali realizzate da lei e Leonardo fossero basate su immagini di Antonio Tempesta fa ipotizzare che anche quest’ultimo abbia potuto intercedere in suo favore[41].

    Fig. 5. Anonimo, Ritratto di Sofonisba Anguissola, ante 1633, olio su tela, Accademia di San Luca, Roma

    L’unica altra figura femminile rappresentata nella collezione di ritratti del 1633 era Sofonisba Anguissola (fig. 5). Il suo ritratto, tuttavia, si basava erroneamente sull’effige di una donna ignota: un’immagine, oggi conservata allo Château de Chantilly, che non ritraeva Anguissola ma che era stata eseguita da lei (fig. 6). La scelta erronea di questa donna riccamente vestita come modello per il ritratto dell’Accademia ci suggerisce come Anguissola fosse percepita dal copista da lei lontano, che si trovava a Roma. L’aspetto elegante della dama raffigurata si confà allo status di pittrice che Anguissola aveva alla corte del re Filippo II, tuttavia la rappresentazione sembra l’equivalente visivo della descrizione che Pietro Paolo de Ribera fa di lei nella biografia del 1609, quando racconta che era stata corteggiata da cavalieri spagnoli e italiani e che al pari di altre dame di corte aveva sfoggiato sfarzosi abiti in tessuti dorati, collane di perle e gemme preziose. Come ha osservato Julia Dabbs, i topoi regolarmente utilizzati dai biografi che scrivevano di artiste donne non erano privi di inaccuratezze e stereotipi. Spesso, ad esempio, enfatizzavano le loro virtù interiori ed esteriori, come la modestia o la bellezza[42]. Il ritratto dell’Accademia non assomiglia affatto ai molti autoritratti di Anguissola, nei quali la pittrice appare generalmente vestita in maniera sobria e pettinata con semplicità. Per contro, il volto ormai maturo di Girolama Parasole è raffigurato in modo realistico e non idealizzato: l’espressione della bocca, leggermente piegata da un lato, fa pensare che il ritratto sia stato eseguito da qualcuno che la conosceva personalmente, circostanza del tutto verosimile visto che l’incisora viveva in un quartiere popolato da artisti con cui lei e la sua famiglia avevano senz’altro contatti[43].

    Fig. 6. Sofonisba Anguissola, Ritratto di donna, 1560 circa, olio su tela, Musée Condé, Chantilly. © Musée Condé, Chantilly / Bridgeman Images

    La presenza di Girolama Parasole nella galleria dell’Accademia colpisce perché il suo ruolo di intagliatrice di matrici per pubblicazioni commerciali non era certamente paragonabile a quello rivestito da una rinomata pittrice di corte, quale era Anguissola. La professione di quest’ultima, in effetti, era più in linea con gli ideali di decoro e rispetto verso l’arte che l’Accademia aveva promosso sin dalla sua fondazione nel 1593. Ad esempio, la vendita di immagini sacre o profane apposte in vetrina o altri luoghi pubblici era scoraggiata[44]. L’inclusione di questi ritratti di artiste, scomparse a tre anni di distanza l’una dall’altra, suggerisce una modalità di rappresentazione strettamente legata alle loro vicende biografiche, direttamente note ai membri dell’Accademia o percepite da una distanza letteraria o storica. Anguissola era stata valorizzata per il suo prestigio internazionale e Parasole per il suo riconoscimento a livello locale. I loro ritratti all’Accademia simboleggiano anche il riconoscimento delle donne come “accademiche di merito”[45], incluse tra i membri ma in numero decisamente inferiore rispetto agli uomini con una partecipazione attiva e incarichi di docenza. Dal 1607 le donne, come i forestieri, potevano fare domanda di ammissione, ma non avevano diritto di voto nella gestione della scuola[46]. Non è noto se durante la sua vita Girolama sia stata membro dell’Accademia. Il suo nome non risulta in nessun altro documento ma, in ogni caso, le sarebbe stato vietato di partecipare alle riunioni amministrative. Ciò rende la sua presenza nella collezione di ritratti dell’Accademia ancora più straordinaria: il suo ritratto fu esposto come segno della stima di cui godeva nella prima metà del Seicento.

    Il riconoscimento di Girolama Parasole nella prima età moderna

    Fig. 7. Girolama Parasole, “Giove Pluvio”, da Cesare Baronio, Annales Ecclesiastici, Roma, 1594, vol. 2, p. 209, Bibliothèque municipale de Lyon

    Da questa breve indagine sulla collezione di ritratti dell’Accademia emerge una narrazione che evidenzia molteplici gerarchie. A dominare era una cultura che esaltava il genio, come dimostra l’inventario del 1633 in cui Michelangelo, Raffaello e Tiziano erano elencati per primi. L’aggiunta di familiari degli accademici promuoveva implicitamente il paradigma in base al quale padri e fratelli costituivano una prova delle capacità innate dei membri attivi – una forma di autopromozione da parte degli artisti, alcuni dei quali si adoperarono per far inserire il proprio ritratto più tardi. Se tuttavia il merito artistico era stato l’unico criterio di inclusione, allora andava valorizzata anche la missione di questa scuola d’arte, ossia quella di incoraggiare l’impegno e la diligenza nell’apprendimento di un mestiere – un ideale che il percorso professionale di Girolama Parasole incarnava a pieno titolo. Con tutta probabilità i suoi lavori non erano esposti nei palazzi romani come quelli di Caravaggio, ma la sua inclusione nella galleria di ritratti rifletteva la rilevanza dei suoi contributi in pubblicazioni che facilitavano la missione religiosa ed educativa dell’istituzione. Forse anche Cesare Ripa era stato incluso per una ragione simile: il suo libro di emblemi era utilizzato come fonte per comporre soggetti iconografici e allegorie tradizionali e nella biblioteca dell’Accademia ne erano conservate due copie. Prove documentali attestano in effetti che Leonardo Parasole era stato incaricato di intagliare le matrici per le immagini destinate alla seconda edizione dell’Iconologia di Ripa pubblicata nel 1603, che a differenza della prima (1593) era illustrata[47]. Questa versione più recente non contiene immagini firmate da Girolama, che firma invece un’incisione di Giove Pluvio per gli Annales Ecclesiastici (1594) pubblicati dagli Oratoriani (fig. 7)[48].

    Fig. 8. Girolama Parasole, da Antonio Tempesta, Tortura della ruota, da Antonio Gallonio, De SS. martyrvm crvciatibvs, Roma, 1594, p. 44, Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Creative Commons, Public Domain Mark 1.0

    Le sue xilografie per questa storia del cristianesimo illustravano manufatti antichi, citati come prova della lunga tradizione della Chiesa. La serie in 12 volumi era la risposta ufficiale alle Centurie di Magdeburgo protestanti[49]. Leonardo e Girolama mantennero stretti legami con la Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri[50]. Per la tipografia degli Oratoriani, i Parasole realizzarono anche illustrazioni per il De Ss. martyrum cruciatibus (1594). In questa riedizione latina del Trattato de gli instrumenti di martirio, Girolama firma un’illustrazione raffigurante diversi tipi di supplizi della ruota basandosi sulle incisioni eseguite da Antonio Tempesta per l’edizione italiana (fig. 8)[51]. Il De Ss. martyrum cruciatibus diffondeva la venerazione dei testimoni cristiani delle origini in un linguaggio più universalmente comprensibile, ma potrebbe essere stato anche utilizzato come una sorta di manuale visivo per comporre immagini di santi martiri o un’enciclopedia delle morti per tortura, simile all’Iconologia di Ripa, ma dedicata a immagini sacre.

    Non ci sono prove che Girolama, o qualsiasi altra donna, abbia insegnato all’Accademia, ma forse gli accademici apprezzavano il suo apporto nel fornire risorse visive agli artisti. La missione educativa dell’istituzione rispecchiava gli obiettivi della Controriforma. Nell’Origine et progresso dell’Academia di Alberti si legge che Gabriele Paleotti e il cardinale Francesco Maria del Monte erano stati nominati “educatori della riforma” da papa Clemente VIII, il che significava che l’istituzione avrebbe seguito le riforme artistiche post-tridentine[52]. Questa potrebbe essere un’altra ragione per cui gli accademici rispettavano il lavoro di Parasole, in linea con i più ampi valori dell’istituzione legati alla Chiesa e alla venerazione dei santi promossa da quest’ultima.
    La Roma degli anni a cavallo del Seicento era un luogo in cui gli artisti visivi potevano guadagnarsi da vivere e mantenere una famiglia, come fecero anche Leonardo e Girolama Parasole. La scoperta di molti nomi di artisti citati in fonti primarie è un importante contributo del progetto History of the Accademia di San Luca, c. 1590-1635. Tra le possibili motivazioni dell’inclusione di Girolama Parasole tra i ritratti dell’Accademia, il riconoscimento del potenziale didattico dei suoi lavori e del rispetto che avrebbero ispirato agli osservatori può almeno in parte aiutarci a ricostruire le ragioni per cui i suoi contemporanei ritennero che meritasse un posto nella collezione. Non bisogna inoltre dimenticare che le donne della prima età moderna non sempre godevano di autonomia ed erano condizionate da vincoli sociali e giuridici. Nonostante tali restrizioni, un’artista donna scomparsa da poco venne inclusa in quel gruppo di illustri accademici di sesso maschile. Il messaggio veicolato da questo atto era di grande rilevanza: un’istituzione didattica nella Roma del primo Seicento promuoveva Girolama Parasole come artista “illustre” e di conseguenza degna di essere emulata.

    Note

    [1] Archivio di Stato (ASR), TNC, uff. 15, 1624, pt. 4, vol. 102, fols. 210r–v, 211r–v, 219r; ASR, TNC, uff. 15, 1627, pt. 3, vol. 113, fols. 27r–v, 28r–v, 41r–v; ASR, TNC, uff. 15, 1633, pt. 1, vol. 135, fols. 516r–v, 517r–v, 544r–v. Tutti i documenti dell’Archivio di Stato di Roma si trovano presso i Trenta Notai Capitolini (TNC), Ufficio (Uff.) 15, e sono trascritti in The History of the Accademia di San Luca, c. 1590–1635: Documents from the Archivio di Stato di Roma.

    [2] ASR, TNC, uff. 15, 1633, pt. 1, vol. 135, fols. 516r–v, 517r–v, 544r–v; Zygmunt Wazbinski, Il Cardinale Francesco Maria del Monte: 1549–1626, Firenze, 1994, vol. 2 pp. 558-566; Peter M. Lukehart (a cura di), Appendix: Documents and Primary Sources Relating to the Early History of the Accademia di San Luca and the Università dei Falegnami, in The Accademia Seminars: The Accademia di San Luca in Rome, c. 1590–1635, CASVA Seminar Papers 2, Washington, DC, 2009, pp. 376-380; Marica Marzinotto, La collezione dei ritratti accademici: Origine, incrementi e definizione dei modelli iconografici nei secoli XVI e XVII, in Atti dell’Accademia Nazionale di San Luca, Roma, 2009-2010, pp. 218-220.

    [3] Giovanni Incisa della Rocchetta, La collezione dei ritratti dell’Accademia di San Luca, Roma, 1979, p. 35; Marco Pupillo, Gli incisori di Baronio. Il maestro “MGP”, Philippe Thomassin, Leonardo e Girolama Parasole (con una nota su Isabella/Isabetta/Elisabetta Parasole), in Luigi Gulia (a cura di), Baronio e le sue fonti, Sora, 2009, pp. 846-847; Evelyn Lincoln, The Parasole Family Enterprise and Book Illustration at the Medici Press, in Eckhard Leuschner, Gerhard Wolf (a cura di), The Medici Oriental Press: Knowledge and Cultural Transfer around 1600, Firenze, 2022, p. 118.

    [4] Gian Ludovico Masetti Zannini, Stampatori e Librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento, Roma, 1980, pp. 214-219; Christopher Witcombe, Copyright in the Renaissance: Prints and the Privilegio in Sixteenth-Century Venice and Rome, Boston, 2004, pp. 209-210.

    [5] Pupillo 2009, pp. 846-847; Dizionario biografico degli Italiani, “Parasole Cagnaccia, Geronima” di Maria Rosario Mancino, consultato il 16 maggio 2024, https://www.treccani.it/enciclopedia/geronima-parasole-cagnaccia_(Dizionario-Biografico)/.

    [6] Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori, scultori, et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642, pp. 394-395; Lincoln 2022, pp. 102–103; Furio Rinaldi, The Roman Maniera: Newly Identified Drawings, “Metropolitan Museum Journal” 52 (2017), pp. 136-141, in part. n. 30; Francesca di Castro, Isabella Catanea Parasole e il ‘Teatro delle nobili et virtuose donne’, “Strenna dei Romanisti” 45 (2004), pp. 240 nota 19; Enciclopedia delle Donne, "Elisabetta e Girolama Parasole”, di Annalisa Rinaldi, consultata il 24 gennaio 2022, http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/elisabetta-e-girolama-parasole/.

    [7] Antonio Agustín, Dialoghi di Don Antonio Agostini arcivescovo di Tarracona intorno alle medaglie, inscrittioni et altre antichità, Roma, 1592, p. 125; Cesare Baronio, Annales Ecclesiastici, Roma, 1594, vol. 2, p. 209; Antonio Gallonio, De SS. martyrvm crvciatibvs, Roma, 1594, p. 44. 

    [8] Lincoln 2022, p. 112.

    [9] Giovanni Incisa della Rocchetta, Nello Vian (a cura di), Il primo processo per San Filippo Neri, Città del Vaticano, 1958, vol. 2, pp. 213 nota 1434; Museo di Palazzo Venezia, La Regola e la fama: San Filippo Neri e l’arte, Milano, 1995, pp. 96, 497, 513; Pupillo 2009, p. 844 nota 39; Evelyn Lincoln, Invention, Origin and Dedication: Republishing Women’s Prints in Early Modern Italy, in Mario Biagioli, Peter Jaszi, Martha Woodmansee (a cura di), Making and Unmaking Intellectual Property, Chicago, 2011, pp. 347-349; Lia Markey, The Female Printmaker and the Culture of the Reproductive Print Workshop, in Rebecca Zorach, Elizabeth Rodini (a cura di), Paper Museums: The Reproductive Print in Europe 1500–1800, Chicago, 2005, pp. 56-58; Witcombe 2004, pp. 209-213; Oliver Tostmann, Isabella Catanea Parasole, in Eve Straussman-Pflanzer, Oliver Tostmann (a cura di), By Her Hand: Artemisia Gentileschi and Women Artists in Italy, 1500–1800, Detroit, 2021, pp. 99-100.

    [10] Baglione 1642, pp. 11, 52, 71, 73, 100, 106, 109, 119, 122, 126, 129, 133, 134, 139, 143, 147, 148, 159, 288, 292, 294, 306, 316, 321.

    [11] Incisa della Rocchetta 1979, p. 13; Pietro Roccasecca, Teaching in the Studio of the “Accademia del Disegno dei pittori, scultori, e architetti di Roma” (1594–1636), in Lukehart 2009, p. 142.

    [12] Guido Rebbecchini, Evidence: Inventories, in Gail Feigenbaum (a cura di), Display of Art in the Roman Palace 1550–1750, in collaborazione con Francesco Freddolini, Los Angeles, 2014, pp. 27-28.

    [13] Jessica Keating, Lia Markey, Introduction: Captured Objects Inventories of Early Modern Collections, “Journal of the History of Collections” 23, n. 2 (2011), pp. 209-213.

    [14] ASR, TNC, uff. 15, 1624, pt. 4, vol. 102, fols. 184r–v, 185r–v, 198r–v.

    [15] ASR, TNC, uff. 15, 1624, pt. 4, vol. 102, fols. 210r–v, 211r–v, 219r; Wazbinski 1994, vol. 2, pp. 369–375; Lukehart 2009, pp. 369–372.

    [16] Peter M. Lukehart, Visions and Divisions in the Early History of the Accademia di San Luca, in Lukehart 2009, pp. 173–174; Roccasecca 2009, pp. 141–142.

    [17] ASR, TNC, uff. 15, 1627, pt. 3, vol. 113, fols. 27r–v, 28r–v, 41r–v; Lukehart 2009, pp. 372–375.

    [18] ASR, TNC, uff. 15, 1633, pt. 1, vol. 135, fols. 516r–v, 517r–v, 544r–v; Wazbinski 1994, vol. 2, pp. 558–566; Marzinotto 2009–2010, pp. 218–220; Lukehart 2009, pp. 376–380.

    [19] Incisa della Rocchetta 1979, pp. 25-42, 111-147. Per una discussione sull’importanza della donazione di opere d’arte da parte degli artisti stessi, vedi Peter M. Lukehart, By Honor or by Merit: Women Artists in the Accademia di San Luca, c. 1600–1700, in Peter M. Lukehart, Ulrich Pfisterer, Oscar Vázquez (a cura di), Art Academies in Europe and the Americas, 1600–1900 (in uscita).

    [20] Marzinotto 2009–2010, pp. 220, 223; Incisa della Rocchetta 1979, p. 13 nota 6.

    [21] Cesare Ripa, Della novissima iconologia, Padova, 1625, s.p. 

    [22] Roccasecca 2009, pp. 142–147.

    [23] Wazbinski 1994, vol. 2, pp. 551–565.

    [24] Lukehart 2009, pp. 165–174, 184.

    [25] Roccasecca 2009, pp. 124–127.

    [26] Citato in Patricia Fortini Brown, “Children and Education,” in Marta Ajmar-Wollheim, Flora Dennis (a cura di), At Home in Renaissance Italy, London, 2006, pp. 136-143.

    [27] Adelina Modesti, “‘A casa con i Sirani’: A Successful Family Business and Household in Early Modern Bologna,” in Stephanie Miller, Elizabeth Carroll Consavari, Erin Campbell (a cura di), New Perspectives on the Early Modern Italian Interior, 1400–1700, Burlington, VT, 2013, pp. 47-64. 

    [28] William Stenhouse, Visitors, Display, and Reception in the Antiquity Collections of Late-Renaissance Rome, “Renaissance Quarterly” 58, n. 2 (estate 2005), pp. 397-434.

    [29] “Introduction,” in Feigenbaum 2014, pp. 1–24.

    [30] Christiane L. Joost-Gaugier, “The Early Beginnings of the Notion of ‘Uomini Famosi’ and the ‘De Viris Illustribus’ in Greco-Roman Literary Tradition,” Artibus et Historiae 3, no. 6 (1982), pp. 97-115.

    [31] Marzinotto 2009–2010, p. 198. 

    [32] Baglione 1642, pp. 73, 288, 294; Incisa della Rocchetta 1979, pp. 34, 37, 38; Marzinotto 2009–2010, p. 258.

    [33] Biblioteca Marucelliana, Volume H, 2r, 3r, 4r, 5r, 9r, 16r; Wazbinski 1994, vol. 2, pp. 56–59. 

    [34] Mark McDonald, The Paper Museum of Cassiano Dal Pozzo: A Catalogue Raisonné, vol. 2, The Print Collection of Cassiano dal Pozzo: Ceremonies, Costumes, Portraits and Genre, Londra, 2017, vol. 2, pp. 913-917.

    [35] Incisa della Rocchetta 1979, pp. 30, 31, 33, 38.

    [36] Incisa della Rocchetta 1979, p. 38.

    [37] Marzinotto 2009–2010, p. 207.

    [38] Baglione 1642, p. 122.

    [39] Incisa della Rocchetta 1979, pp. 32, 37.

    [40] ASR, TNC, uff. 11, 1598, pt. 4, vol. 40, fol. 415r–v; ASR, TNC, uff. 15, 1612, pt. 3, vol. 55, fol. 599r–v; ASR, TNC, uff. 15, 1624, pt. 4, vol. 102, fols. 184r–v, 185r–v, 198r–v.

    [41] Madeleine C. Viljoen, Prints, in Andaleeb Badiee Banta, Alexa Griest, Theresa Kutasz Christensen (a cura di), Making Her Mark: A History of Women Artists in Europe, 1400–1800, Baltimora, 2023, p. 220.

    [42] Pietro Paolo de Ribera, Le Glorie Immortali de’ Trionfi, et Heroiche Imprese di Ottocento Quarantacinque Donne Illustri antiche e moderne dotate di conditioni, e scienze segnalate, Venezia, 1609, pp. 313-316; cit. in Julia Dabbs, Life Stories of Women Artists, 1550–1800: An Anthology, New York, 2009, pp. 1-20, 106-111.

    [43] Lincoln 2022, pp. 117–118.

    [44] ASR, TNC, uff. 11, 1593, pt. 1, vol. 25, fols. 425r–v, 426r–v, 427r–v; Lukehart 2009, p. 171.

    [45] Lukehart in uscita.

    [46] Monica Grossi, Silvia Tranni, From Universitas to Accademia: Notes and Reflections on the Origins and Early History of the Accademia di San Luca Based on Documents from Its Archives, in Lukehart 2009, pp. 31, 36. Vedi anche Lukehart in uscita.

    [47] Lincoln 2022, p. 115.

    [48] Baronio 1594, vol. 2, p. 209; Lincoln 2022, p. 105.

    [49] Giuseppe Antonio Guazzelli, Cesare Baronio and the Roman Catholic Vision of the Early Church, in Simon Ditchfield, Howard Louthan, Katherine Elliot Van Liere (a cura di), Sacred History: Uses of the Christian Past in the Renaissance World, Oxford, 2012, pp. 52-55; Lincoln 2022, pp. 105-108.

    [50] Dizionario biografico degli Italiani, “Parasole Cagnaccia, Geronima”; Lincoln 2022, pp. 103–105.

    [51] Gallonio 1594, p. 44; Lincoln 2022, pp. 108–109.

    [52] Romano Alberti, Origine, et progresso dell’Academia del dissegno de pittori, sculptori e architetti di Roma, Pavia, 1604, s.p.; cit. in Marcello Beltramme, Le teoriche del Paleotti e il riformismo dell’Accademia di San Luca nella politica artistica di Clemente VIII (1592–1605), “Storia dell’arte” 69 (1990), p. 202; cit. in Lukehart 2009, pp. 171, 177-178.